TUTTO EBBE INIZIO...

LA NASCITA DI UNA LEGGENDA


Il materiale che vi propongo in questo articolo venne pubblicato negli anni ’70 dalla casa editrice “La Sorgente”: il titolo del libro era “L’album di Fonzie”. Oggi questa casa editrice non esiste più, e non è semplice reperire il libro in questione; se lo desiderate avere, per ora posso consigliarvi di andare a cercare in qualche bancarella di libri usati, oppure in qualche mostra di libri, fare annunci su riviste…




Siamo nel 1970.Gli Stati Uniti hanno il grosso problema della guerra del Vietnam e dell’inflazione. Una notevole irrequietezza serpeggia nel mondo studentesco. La vitalità degli Stati Uniti è in declino: il paese si trova in uno stato di tensione politica, economica e culturale. Che influenza ha avuto questa situazione sul mondo dello spettacolo ? Uno degli effetti immediati è stato quello di uno spostamento degli interessi nell’ambiente letterario, musicale e cinematografico verso i tempi che apparivano più tranquilli, o per lo meno più comprensibili.

E un revival degli anni ’50 rientra in questa forte tendenza "nostalgica": buona parte delle popolazione americana sembra trovare "rassicurante" l’innocenza degli anni ’50. Certo il passato dà un senso di sicurezza comunque (per quanto agli americani, come popolo, secchi riconoscerlo) questa ondata di nostalgia rappresenta essenzialmente una forma di fuga dalla realtà, un tuffo nei ricordi, in un mondo che sembra innocuo solo perché non esiste più. ( ndr: a tal proposito leggetevi l’articolo "Perché negli anni ‘50" che proponiamo nel seguito).

Nel 1970 la rete televisiva ABC cercò di andare oltre questo diffuso rimpianto degli anni ’50 realizzando una nuova versione di una vecchia e popolarissima trasmissione ambientata negli anni ’30, intitolata "I Remember Mama". Alla base di questa iniziativa  c’era il seguente ragionamento : "se il pubblico rimpiangeva gli anni cinquanta e li trovava rassicuranti, un ulteriore salto indietro di venti anni sarebbe stato ancora più rassicurante…".

Forse lo scopo primario era stato quello di fare qualcosa di "insolito". Per quanto gli spettacoli in genere siano piuttosto conformisti nei confronti delle varie tendenze del momento, un’idea nuova (o per lo meno non sfruttata da anni) certo poteva avere più successo di una serie di rimaneggiamenti e scopiazzature: a parte la sicurezza implicita in ogni conformismo, il mondo dello spettacolo ha sempre bisogno di nuova linfa.


Inoltre aveva collaborato a "I spy" e "bob Hope Chrysler show", e aveva creato la serie "Hey, Landlor" trasmessa dalla NBC. Anche come autore di testi cinematografici aveva dimostrato un notevole talento in film come "How sweet it is", con Debbie Reynolds e James Garner, e "The grasshopper", interpretato dall’attrice Jacqueline Bisset e molto apprezzato dalla critica.

Per questo la proposta venne rivolta a Marshall, che comunque in un primo momento la rifiutò. "Al principio la proposta mi ha la lasciato piuttosto freddo in quanto non provavo nessun interesse per gli anni ’30. Perciò la rifiutai". - ricorda Marshall. 

Tuttavia l’idea di base di scrivere testi che facessero rivivere i vecchi tempi lo allettava; quindi disse alla ABC che, per quanto "I remember Mama" non rientrasse nel suo genere, in fondo gli sarebbe piaciuto scrivere qualcosa ambientato negli anni ‘50- "i suoi" tempi, il periodo corrispondente alla sua adolescenza, che gli era familiare e lo attraeva sentimentalmente.

   

Fu così che  Marshall si mise all’opera e inventò la famiglia Cunningham, il tipico, simpatico nucleo di personaggi su cui si impernia Happy Days. Da qui nacque il prototipo di mezz’ora "A new family in town", con Ron Howard, Anson Williams e Marion Ross.

Tutti i personaggi erano gli stessi della trasmissione attuale, ad eccezione di Fonzie, la cui personalità non rientrava certo in quello che Marshall definiva "un simpatico, caldo quadretto di vita familiare".

Comunque l’esito di questo primo film fu piuttosto deludente per Marshall: il suo prototipo non suscitò un particolare interesse nella ABC, che alla fine lo usò per un episodio della serie "Love, american style", e poi lo archiviò.

Con il passare del tempo però la nostalgia per gli anni ’50 cominciò a prendere sempre più piede: il musical di Bradway "Grease", ambientato appunto in quegli anni, aprì un nuovo filone di successo, e il film "American graffiti" fu accolto entusiasticamente sia dal pubblico sia dalla critica. Il fatto che Ron Howard figurasse anche nel cast di "American graffiti" contribuì a creare l’idea sbagliata che Happy Days fosse stato all’origine del revival in campo cinematografico.

Questo non è esatto, in quanto Happy Days nacque sull’onda del successo di "America graffiti"- anche se, per la cronaca, va ricordato che il film era pur stato preceduto dal prototipo di HD.






   

Il successo di queste due produzioni (per non parlare del revival del rock ‘n roll anni ’50 attuato dal complesso Sha Na Na) gettò una nuova luce sulla idea iniziale di Happy Days: la ABC si rese finalmente conto della possibilità di successo commerciale implicita in un ritorno agli anni ’50, e prese di nuovo contatto con Marshall a questo proposito. Secondo Marshall la ABC era entusiasta di realizzare Happy Days, ma a condizione che fossero apportate alcune aggiunte e certe modifiche: prima di tutto temeva che il telefilm originale fosse un po’ troppo melenso e meno divertente di quanto avrebbe potuto essere sulla carta. Tenendo come punto di riferimento il film "American graffiti", la rete televisiva intuiva l’opportunità di inserire il tema della "bande" giovanili in una trasmissione essenzialmente imperniata su una famiglia borghese.

Effettivamente questo aspetto degli anni ’50 faceva parte integrante del periodo rappresentato, ma Marshall aveva delle riserve. "Quando me lo hanno proposta, al cosa mi ha lasciato perplesso. Me ne sono tornato a casa e ho deciso che l’introduzione di una banda non sarebbe andata bene. Comunque avevo l’impressione che Einser avesse ragione, sotto un certo punto di vista: la trasmissione aveva realmente bisogno di qualcosa di diverso e di vivificante. Perciò invece di introdurre una banda di ragazzi ho pensato di creare un personaggio che rappresentasse un tipo di ragazzo "diverso", quello che non ha fatto il liceo.






   


Nella foto Mr. Marshall, a destra nel 1978 con gli altri due produttori di "Happy Days": da sinistra, Edward K. Milkis e Tom Miller.
Così, in collaborazione con Tony Miller e Ed Milkis, che già avevano collaborato al primo telefilm, Marshall iniziò un lavoro di revisione. Oltre ad introdurre l’elemento della banda in forma attenuata (cioè il personaggio di Fonzie), ridisegnò il locale di Arnold’s e aggiunse molte altre figure di ragazzi. Un ulteriore sviluppo fu apportato ad Happy Days dall’introduzione dell’elemento "auto" (anche in questo caso "American graffiti" faceva testo). Le macchine avevano avuto un ruolo notevole nella vita degli anni ’50: Marshall lo sapeva, avendo vissuto quel periodo, e si rendeva conto dell’efficacia che avrebbe avuto l’introduzione del tema auto nel ricreare lo spirito dell’epoca. Questa aggiunta comunque implicava l’uso di frequenti riprese in esterni, che avrebbero complicato la lavorazione degli episodi.  Si trattava di accettare un certo compromesso, uno dei tanti che si sarebbero presentati nel corso della realizzazione della trasmissione. In seguito però, dopo la prima serie televisiva, la ABC gli avrebbe chiesto di riportare Happy Days negli interni per aumentare il potenziale umoristico. 

 






   

Fin dal principio Marshall aveva ben chiara nella mente la linea tematica da seguire. Benché molti abbiano creduto (e credano tuttora) che la chiave di Happy Days sia essenzialmente nostalgica, la realtà è diversa: alla base degli elementi superficiali degli anni ’50 c’è il desiderio di Marshall di esplorare e analizzare i problemi tipici degli adolescenti. L’aspetto nostalgico può esser considerato incidentale, una nota di colore per caratterizzare un certo ambiente.

A parte l’interesse personale di Marshall per questo periodo, l’ambientazione negli anni ’50 risultava anche obiettivamente conveniente: in un certo senso l’elemento "anni ‘50" consentiva all’autore di sviluppare il tema che gli stava a cuore evitando però quegli aspetti tipici della gioventù contemporanea che sarebbero stati necessari per creare un certo realismo, ma che difficilmente sarebbero stati accettati sia dalla rete televisiva sia, presumibilmente, dal pubblico. Spiega Marshall: "E’ molto difficile fare delle trasmissioni sui giovani senza parlare di "spinelli", "buchi" e di cose del genere, tutte inaccettabili.

E se la gente vede un film sulla gioventù moderna in cui non figurano queste cose, dice subito che non è realistico. Invece ambientando tutto negli anni ’50 si possono fare dei film sui giovani senza affrontare certi temi. Era un grosso vantaggio di cui ovviamente si è tenuto conto. La stessa cosa vale per il sesso. Quando Richie si limita a desiderare di dare il "bacio della buona notte" a una ragazza, la cosa è credibile perché allora il senso morale era diverso". Nella foto a sinistra Garry Marshall (produttore di Happy Days)

Nella foto a sinistra Garry Marshall






   

Nello sviluppo della tematica della trasmissione l’interesse è stato concentrato essenzialmente su due problemi tipici degli adolescenti: il primo riguarda i loro rapporti con le ragazze, e questo spiega la continua aspirazione di Richie, Potsie e Ralph ad abbordare le ragazze e la continua funzione di "maestro" che ha Fonzie per quanto riguarda la "tecnica" di abbordaggio.

Il secondo problema riguarda il dubbio angoscioso: "Non sarò un vigliacco?" "Questo è un dubbio che si presenta ogni volta che qualcuno sta per aggredirti- spiega Marshall- Io l’ho avuto spesso da ragazzo.

Volevo passare per "duro" ma in realtà non lo ero, e invece c’erano mille occasioni in cui mi trovavo costretto a dare prova di "virilità". Il che costituiva uno stress continuo". In un episodio viene affrontato anche un problema diverso: l’accettazione della "mezza età". Si tratta di un episodio in cui vediamo Howard Cunningham, il padre di Richie, in piena crisi, il giorno del suo quarantacinquesimo compleanno. "Happy Days è basato sulla formula di Lenny Bruce: problema più tempo, uguale spettacolo" dice Marshall.

E’ per questo che l’interesse degli adulti per la serie televisiva- che ha colto in contropiede i produttori – in realtà era facilmente prevedibile. Secondo la formula di Lenny Bruce infatti, è facile capire come mai gli adulti, separati dalla propria adolescenza da un mare di tempo, possano gustare Happy Days ricordando i propri problemi adolescenziali e sorridendo di ciò che ora possono vedere in chiave umoristica.






   

In definitiva i grandi temi attorno cui ruotano i vari episodi si possono ridurre a tre categorie: il Grande Fonzie, la famiglia Cunningham e i momenti di riflessione. In quest’ultima categoria rientrano l’episodio in cui Richie commenta la cronaca nera, quella in cui Fonzie considera il problema del matrimonio, e quello in cui Richie è dibattuto tra le due alternative di sostenere la candidatura alla presidenza di Adlai Stevenson o di condividere la posizione pro-Eisenhower di tutta la propria famiglia (episodio questo che costituisce un esempio isolato di tema politico-familiare).

Una volta fissati i temi e le varie vicende, Marshall rivolse la propria attenzione alla scelta del cast. Un bel giorno Tom Miller- a cui era stata devoluta in gran parte la responsabilità di questa fase organizzativa- si presentò a Marshall con la soluzione di quello che stava diventando un vero problema: la scelta dell’attore che avrebbe dovuto interpretare il ruolo di Fonzie. Miller era eccitatissimo- "L’ho trovato! Non è esattamente come se lo immagina lei.. è meno grande e grosso.. ma ha gli occhi e la voce giusti. Ed è l’unico che li abbia". Il candidato era Henry Winkler. Marshall aveva fiducia in Miller e ben presto si trovò a condividere il suo entusiasmo.

Quando poi vide personalmente Winkler, si convinse definitivamente dell’opportunità della scelta. Quello che gli aveva detto Miller corrispondeva alla realtà: Henry Winkler era un Fonzie perfetto.






   

La scelta delle attrici che avrebbero dovuto interpretare le parti di Joanie e Marion Cunningham invece si dimostrò di tutto riposo: Marion Ross era l’interprete ideale, ed Erin Moran aveva già lavorato con Marshall, "Se era divertente allora, sarà divertente anche adesso" pensò Marshall. Ed ebbe ragione.





   

Per la parte di Potsie Weber, Marshall propendeva per un attore con i capelli scuri, che contrastassero con quelli rossi di Ron Howard. Inoltre voleva un tipo simpatico "che sapesse far sorridere il pubblico". E anche questa volta Tom Miller trovò il candidato giusto. Anson Williams aveva già un’esperienza televisiva alle spalle (un’ottima prova sfruttata da Marshall per dissipare i dubbi della rete televisiva sulla sua candidatura), e benché i suoi precedenti di attore non fossero straordinari, lavorava così bene con Ron Howard che ebbe la parte. Comunque c’era un altro giovane attore che avrebbe avuto ottimi numeri per aspirare alla parte di Potsie: Don Most. Il suo unico handicap erano i capelli rossi, però aveva già dato prova di saper far sorridere, e Marshall ci pensò a lungo…. Most poteva essere una scelta sicura per la rete televisiva. Quel che accadde in seguito fu una grossa prova di fiducia nel talento ancora pressoché sconosciuto del giovane attore: Marshall gli creò su misura la parte di Ralph Malph.





   

Il problema più difficile si presentò per la scelta di Howard Cunningham. Harold Gould aveva già sostenuto la parte nel prototipo televisivo della serie, ma al momento era già impegnato nella lavorazione di un altro film. Secondo le parole di Marshall la produzione cercava un tipo di padre "tutta saggezza", ma Marshall era altrettanto deciso nel volere un Howard Cunningham vulnerabile e realistico. "Un padre meraviglioso che sa sempre tutto non avrebbe funzionato- sosteneva Marshall.- Io lo so che cosa fa sorridere e so che uno stereotipo simile non avrebbe strappato neanche mezzo sorriso. Perciò ho detto alla rete televisiva: ‘Onestamente non mi ricordo che mio padre fosse un genio simile, quando ero un ragazzo, e voglio padre credibile, non un fenomeno!’".  Nel frattempo Miller e Marshall avevano trovato Tom Bosley, un Howard Cunningham ideale, ma quanto di più diverso si potesse concepire dall’immagine che se ne era fatta la produzione. Alla ABC dissero a Marshall: "No, questo Tom Bosley non va proprio. Non ha l’aria del padre, sembra un padre normalissimo". Bene, questo era esattamente quello che Marsall desiderava. Naturalmente ci fu una gran lotta, ma alla fine la spuntò Marshall (cosa di cui ancora oggi il regista va orgoglioso), in quanto Bosley non solo rappresenta perfettamente il personaggio, ma da anche una certa stabilità al cast che, benché già maturo da un punto di vista professionale, anagraficamente era pur sempre molto giovane. "
Ci vuole un veterano per dare coesione al lavoro- sostiene Marshall. –La prima volta che ho visto Tom sono rimasto colpito dalla sua solidità di carattere. E quando si realizza una serie di film, settimana dopo settimana, si ha bisogno di questo tipo di solidità. Ronnie è un ragazzo solido, ma è ancora molto giovane. A noi serviva una roccia come Tom. Devo dire che ci ha aiutato a superare molti momenti difficili.






   

Anche le scene e i costumi comportarono molte difficoltà. Ci si sforzò di procurarsi tutto quanto potesse garantirci la massima autenticità (compresi numerosi saccheggi in un locale negozio di pezzi di ricambio). Comunque, benché esistessero anche dei problemi economici, il problema maggiore fu di tipo geografico: nato e cresciuto a New York, Marshall avrebbe potuto facilmente ambientare lì Happy Days: invece optò per Milwaukee, la città natale di Tom Miller. Era un’idea originale, nessuno aveva mai ambientato un film a Milwaukee: inoltre la città scelta rappresentava un ottimo compromesso tra l’Est e l’Ovest degli Stati Uniti. Marshall si era rivolto a sceneggiatori di entrambe le coste e, naturalmente, la cittadina di Miller costituiva un punto intermedio tra i due estremi. Tuttavia sorsero subito delle discussioni in quanto gli elementi superficiali degli anni ‘50 variavano a seconda dell’ubicazione. Alla fine si cercò un compromesso: si prese un po’ da qui e un po’ da là, con l’ovvio riscontro in nessuna località particolare.
Ancora oggi arrivano lettere di critica per questa "terra di nessuno" della nostalgia, ma le proteste sono diminuite mano a mano che il pubblico ha cominciato a spostare la propria attenzione dall’ambiente ai personaggi – e questo dimostra che la straordinaria popolarità di Happy Days non è basata solamente sull’ambientazione negli anni ‘50. 






   

Dopo circa tre anni di distanza dalla creazione del prototipo, fu dato il via alla produzione di Happy Days. Con un impegno costante, che è diventato regola di vita per attori, regista, sceneggiatori e collaboratori, si realizzò una collana di 16 episodi da mandare in onda nella seconda metà della stagione televisiva 1973-1974. Come è stato già detto, si trattava di un cast giovane ed era prevedibile che sorgessero ben presto dei problemi; eppure, come dice Marshall, la maggior fonte di problemi si rivelò fin dai primi giorni esser ben diversa. Benché l’idea di introdurre nello spettacolo l’elemento "banda giovanile" fosse stata della ABC, una volta creato il personaggio di Fonzie la rete televisiva ebbe delle perplessità. Avendo un’esperienza personale di bande di ragazzi, Marshall sapeva che il teppista anni ’50 doveva in gran parte del proprio ascendente al fatto di essere taciturno- in base al concetto che non solo i fatti contano più delle parole, ma anche poche parole ben scelte sono più efficaci di qualsiasi discorso (e una riprova del desiderio di Marshall di attribuire questa caratteristica al suo "ragazzo di vita" può esser rintracciata nel primo episodio, nel quale Fonzie pronuncia solo sei battute). La ABC non era affatto d’accordo su questo punto. Trovava che Fonzie era troppo duro: oltre ad aver un’aria irrecuperabile, aveva lo stesso difetto che era stato imputato a Bosley, quello di esser troppo realistico. Dopo aver realizzato il 1° episodio, Marshall andò nelle Hawaii per lavorare a "The Odd couple", lasciando sul set l’aiuto regista e vecchio amico Bob Brunner, con l’incarico di controllare la veridicità del tutto. 

Al suo ritorno ebbe la sorpresa di trovare un Fonzie in giacca a vento e mocassini, che non si distingueva affatto dagli altri personaggi. Sbalordito, Marshall chiese spiegazione a Brunner e si sentì rispondere che la rete televisiva lo aveva "messo in croce". Anche Winkler era alquanto deluso: essendogli stata accordata una certa autonomia nell’interpretazione della parte, era seriamente preoccupato che il personaggio di Fonzie fosse stato rovinato dalle modifiche apportate al suo aspetto e alla sua personalità. "Sono andato alla ABC e ho piantato una grossa grana- ricorda Marshall. Ho detto chiaro e tondo che avevano completamente rovinato il mio personaggio: chi va in moto con la giacca a vento, se non vuole morire di freddo?"






   

Alla fine la ABC si arrese, a patto che Fonzie portasse il giaccone di pelle solo quando fosse stato in moto. Il risultato fu…. che Fonzie non comparve mai più in scena senza la moto! Si presentò presto un altro problema relativo a Fonzie, ma venne superato presto in modo vantaggioso per tutti. Le difficoltà derivavano dal fatto che Marshall voleva un Fonzie perfettamente aderente al tipico teppista anni ’50 e la rete invece voleva mitigarne la durezza, per paura che risultasse un personaggio sgradevole. Tra le varie caratteristiche del duro anni ’50, forse la più tipica era il suo senso quasi paradossale di ciò che è giusto e di ciò che non lo è. Analogamente ai membri delle bande dei nostri giorni, il teppista anni ’50 ubbidiva a un codice morale che può sembrare contraddittorio alla mentalità borghese: pur essendo disposto a ricorrere alla violenza fisica apparentemente ingiustificata (sulla semplice base di un "non mi va la tua faccia" per es.), il membro di una banda dei cinquanta ha un forte senso dei valori tradizionali- Dio, patria e famiglia. E’ uno strano teppista, capace al tempo stesso di una cieca violenza e del massimo rispetto per i valori morali che sono alla base della società americana. E’ per questo che Dio, patria e famiglia costituiscono i cardini della moralità di Fonzie, il suo "lato buono".
Il guaio era che la ABC avrebbe voluto una moralità più ampia- racconta Marshall- Avrebbe voluto che ogni tanto Fonzie facesse delle buone azioni, come aiutare i Cunningham per esempio. Così abbiamo raggiunto un compromesso: invece di far vedere Fonzie nell’atto di prendersi a botte con qualcuno, si sarebbe solo accennato alla cosa e si sarebbe invece dato spazio a qualche bel gesto nei confronti della famiglia Cunningham e degli amici". Nel Gennaio 1974 venne trasmesso il 1° episodio di Happy Days. Alla televisione molti avevano pronosticato un insuccesso, soprattutto per una questione di orario di trasmissione. In confronto ad altre serie di successo, HD partiva effettivamente handicappata. Nonostante tutte le previsioni negative, Tom Bosley era ottimista, "Credo che gli spettatori gradiranno dei bei film ben fatti e chiaramente d’evasione, da gustare rilassandosi e dimenticando tutte le preoccupazioni". E i fatti gli diedero ragione.






   

Happy Days riscosse subito un alto indice di ascolto, battendo altre trasmissioni popolari fin dalla prima settimana: nelle settimane successive poi si trovò a competere solo con Maude, alternandosi al primo posto e con scarti minimi. Una cosa era certa: Happy Days era l’unico spettacolo che fosse mai stato in grado di tener testa a Maude. Tanto è vero che la CBS decise di spostare Maude in un altro orario e di sostituirlo con una serie che veramente potesse competere con Happy Days, più o meno sullo stesso terreno, dando la possibilità a Maude di dominare incontrastata l’orario che le era stato riservato. Fu così che andò in onda la serie Good Times, che si dimostrò subito più valida e, con le sue trovate divertenti e le sue battute frizzanti, superò presto il successo di Happy Days. Per Happy Days quella fu una stagione di grande tensione: in poche settimane la serie aveva toccato le vette del successo ed era stata battuta; ma non tutto era perduto. D’altronde Marshall stesso riconosce che, essendo stata fatta partire in ritardo sulla stagione televisiva, la serie era stata preparata in modo affrettato, quindi alcuni episodi risultavano un po’ approssimativi. Il rimedio era chiaro: bisognava rendere Happy Days più divertente, se lo si voleva far competere con Good Times. A questo scopo vennero effettuate due importanti modifiche. In primo luogo, in base al principio secondo cui l’umorismo può essere meglio controllato negli interni, Marshall ridusse il numero delle riprese in esterni. In secondo luogo si cominciò a girare alla presenza di un pubblico.





   

La ragione è molto semplice: gli attori recitano meglio di fronte a spettatori in carne ed ossa, che davanti alla freddezza delle telecamere, e gli autori dei testi, attraverso lo stimolo e le reazioni del pubblico, sono spinti ad essere più spiritosi. La nuova tattica funzionò: nella seconda serie (che è in realtà la prima vera serie), Happy Days cominciò ad ottenere un indice di gradimento sempre più alto, sino a raggiungere e superare quello di Good Times e a dominare incontrastata la propria fascia oraria. Secondo Marshall la ABC era ancora preoccupata che Fonzie fosse troppo duro, ma poiché lo spettacolo aveva un gran successo non poté più muovere obiezioni. Comunque fu solo alla terza serie che la trasmissione compì un giro di boa: a poco a poco Fonzie aveva fatto breccia nel cuore degli spettatori, tanto da diventare il punto focale del loro interesse per la trasmissione. La ABC se ne rese conto e decise di sfruttare la cosa: non era difficile prevedere che Fonzie sarebbe diventato ancora più popolare nella terza serie, e con lui anche Happy Days. La parola d’ordine fu allora: "dare più spazio a Fonzie". Senza dubbio Marshall sentiva molto questo personaggio in continuo sviluppo- non solo era cresciuto con dei ragazzi simili a lui, ma aveva anche dovuto combattere per mantenere l’integrità della sua fisionomia- però in lui la vena creativa era più forte della vena sentimentale; e anche se Fonzie non era stato concepito come il protagonista di Happy Days (benché la sua personalità fosse determinante ai fini tematici ed umoristici della trasmissione), e anche se nei suoi progetti per la terza serie non rientrava una posizione di primo piano per il personaggio di Fonzie, in pratica si vide costretto ad apportare delle modifiche in questa direzione.
Come gli era già capitato molte volte, il creatore di Happy Days si trovò nuovamente di fronte al dover affrontare il compito arduo di modificare l’impostazione della trasmissione. Il problema era ovviamente quello di aumentare la presenza in scena di un personaggio che spesso non aveva strettamente a che fare con la scena rappresentata. Fondamentalmente si trattava di impostare una nuova tattica da far seguire agli sceneggiatori che collaboravano con lui.






   

  Analogamente si presentò la necessità di apportare anche un’altra variazione: Marshall si rendeva conto che il pubblico di Happy Days stava cominciando a vedere Fonzie più come un eroe che come un duro, quindi bisognava modificare la sua figura in questo senso, modificandone essenzialmente le azioni. Inoltre se il pubblico voleva un eroe bisognava introdurre anche uno strumento che gli consentisse di realizzare delle azioni eroiche, e la scelta cadde su uno strumento alquanto fragoroso: la sua moto.

Fu così che nacque il "Fonzie senza paura" del primo episodio, in cui appunto Fonzie esegue con la moto un memorabile salto dei bidoni della spazzatura.

Ed è significativo il fatto che questa impresa venga compiuta dall’eroe, per dimostrare il proprio coraggio; seguendo fedelmente il tema originale di Happy Days, l’eroismo di Fonzie in questo episodio altro non è che un espressione del classico problema adolescenziale "non sarò un vigliacco?". La storia recente di Happy Days è nota a tutti e, come si sa, ruota in gran parte attorno al "culto di Fonzie".

La serie televisiva ha raggiunto vertici di ascolto incredibili: in base alle statistiche risulta che all’ora della trasmissione il 29% di tutti i televisori americani esistenti- sia accesi che spenti- e il 43% di quelli accesi era sincronizzato su Happy Days: una percentuale da primato! Durante la stagione 1975-76 la popolarità di Happy Days non è stata oscurata da nessun altro programma, ad eccezione della serie affine Laverne & Shirley, che comunque la batteva di una sola lunghezza.






   

 
L’indice di ascolto comunque non dice tutto. Il successo della trasmissione è dimostrato anche da molti altri elementi. Per esempio alla fine del 1975 si è sentito spesso dire che Henry Winkler fosse morto. Nonostante il desiderio di credere che tali voci fossero il frutto di una paradossale campagna pubblicitaria, in  realtà il fatto che fossero nate e si fossero diffuse, trovando credito, non è altro che una manifestazione della paura del pubblico di perdere i propri eroi prediletti.

Quanto alle lettere dei fans, secondo Jack Tamkin e Tom Bishop- i due responsabili della corrispondenza con il pubblico- hanno continuato ad arrivare circa sessantamila al mese, per lo più indirizzate a Winkler. Un volume di posta decisamente superiore a quello della media delle altre trasmissioni, passate e presenti.

Un’ulteriore prova del fatto che Happy Days, e soprattutto Fonzie, siano diventati un fenomeno nazionale negli Stati Uniti è data dal successo commerciale dei vari articoli legati al personaggio di Fonzie che sono stati lanciati sul mercato: le T-shirt alla Fonzie da 5$, i calzini alla Fonzie a 2$ al paio, le giacche, i poster, i distintivi e così via. Tutto "alla Fonzie".  Era dai tempi della Davy Crockett mania (che aveva fruttato milioni di vendite negli anni ’50) che non si verificava un tale trionfo dell’idolatria commerciale.











   

  Se a questo si aggiungono le 5000 persone in lista di attesa per assistere alle riprese di Happy Days, il crescente successo personale dei protagonisti della trasmissione, e in particolare modo per Winkler e Williams, e persino la popolarità   della colonna portante dei telefilm, si avrà un quadro completo della portata del successo di questa fortunata serie televisiva. Quanto potrà durare? "Secondo me durerà un altro paio di anni, cinque in tutto" dice Marshall.

Faremo entrare nel college i protagonisti e probabilmente daremo ancor maggiore spazio alle imprese di Fonzie, in quanto l’interesse per il suo aspetto eroico può continuare a tempo indefinito. Se ho parlato di cinque anni è perché mi sono già occupato di molte trasmissioni e so per esperienza che dopo cinque anni il cast comincia a perdere lo smalto. La televisione non vuole ammetterlo ma è nell’ordine naturale delle cose. Cinque anni, dunque, basteranno? Il pubblico è notoriamente volubile e magari risulteranno anche troppi. Comunque, oggi come oggi, la cosa sembra piuttosto improbabile.

Anche se Marshall fa notare che l’affiatamento tra gli attori non è sempre ideale come in altri cast, è innegabile che tutta l’équipe è notevolmente affiatata e lavora con gusto. Lo riconosce lo stesso Ron Howard, quando dice: "Siamo andati tutti d’accordo fin dal primo momento.

Ci siamo divertiti a fare la trasmissione e sono convinto che si sono divertiti anche gli spettatori". C’è forse da dubitare?